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L'antico gioco dell'Asino Rosso

Il giocattolo è un ordigno segreto.
(Alda Merini)

Lo scorso mese, su Ispirazioni & Co., abbiamo giocato con le favole e abbiamo ospitato Silvia Logi con il suo Pinocchio in scatola.
Questo mese, invece, si gioca con il legno, un materiale per me fantastico che si presta ad essere lavorato e interpretato in mille modi.
Sono molti gli artigiani del legno, le cui storie abbiamo ospitato  su Vite a regola d’arte, ma a raccogliere la nuova sfida sul gruppo Facebook è stato Angelo Lussiana, artista che abbiamo conosciuto per la sua abilità nell’utilizzare il cartone, ma che si è comunque, nella sua carriera, ben cimentato anche con il legno.
Ringrazio Angelo per la sua disponibilità e lascio a lui la parola.
L’antico Gioco dell’Asino Rosso è uno degli ultimi lavori in legno, che ho realizzato e le immagini sono datate giugno 2012.
È un gioco a pedine mobili, il cui scopo è liberare la pedina più grande dalle pedine più piccole, per farla uscire dalla scacchiera.
In realtà il gioco è probabilmente molto antico e di origine asiatica, thailandese, il Khun Phaen : esso è composto da blocchetti quadrati e rettangolari. Una scacchiera 4 x 5 rappresenta la prigione nella quale è stato rinchiuso Khun Phaen, eroe leggendario che ama, corrisposto, la figlia del re e da questo osteggiato, che lo fece pertanto imprigionare, rappresentato dal quadrato 2 x 2.
Per fuggire Khun Phaen deve superare i nove guardiani che lo sorvegliano, i quattro quadrati 1 x 1 e i cinque rettangoli 1 x 2.
Egli deve raggiungere la porta della libertà, che si trova in basso nella posizione centrale, scivolando tra le guardie, sempre osservando la regola del gioco del 15: i blocchetti scorrono andando a occupare gli spazi vuoti.
La versione cinese del gioco si chiama Sentiero di Hua Rong, la strada che un Re dell'Antica Cina doveva percorrere per raggiungere la libertà.
In Francia, dove il gioco ha avuto larga diffusione, è noto come Asino rosso, perché sul blocchetto 2 x 2 veniva disegnato un asino rosso.
Non è facile far uscire Khun Phaen, il re cinese, e neanche l'asino, dalla prigione. È stato dimostrato che per arrivare alla soluzione, come minimo, sono necessarie 81 mosse.
La mia disposizione di partenza è però differente da quella del Sentiero di Hua Rong. Dalle mie ricerche dell’epoca trovai questa disposizione e la adottai.
Con questa disposizione per liberare Khun occorrono almeno 130-140 mosse.



Ho realizzato le pedine in legno di noce e, per una questione di presa, ho deciso di utilizzare pedine, che riproducano i mattoncini più bassi del Lego.
Dopo la fase progettuale sono passato al rilievo delle misure e delle proporzioni da un pezzo originale e alla trasformazione in disegno vettoriale per il programmino CAD necessario alla fresatrice per poter poi eseguire il lavoro.


Queste lavorazioni furono eseguite su di una Roland EGX350, una fresatrice a controllo numerico, CNC, con un piano di lavoro utile A4, 21x30 cm circa.
Per prima cosa ho ricavato tutta la serie dei bottoni in rilievo, poi sono passato al taglio delle singole pedine. Il pezzo di legno grezzo è tenuto sul piano di lavoro da una serie di strisce di nastro biadesivo. Ho dovuto versare sul lavoro terminato del solvente nitro per allentare la presa della colla e recuperare i pezzi tagliati.
Per finire ho rifinito ogni singolo pezzo con qualche passata di carta vetro.
Una volta terminate le pedine mi sono dedicato alla scatola-prigione, che ho realizzato in tiglio.
Nella prima versione il fondo tracciava la disposizione delle pedine ed indicava la partenza e l’arrivo della pedina grande. Nelle successive ho ritenuto superflua la cosa.


La particolarità della scatola è che l’ho ricavata da un’unica lavorazione in un unico blocco di legno: non sono un fondo e quattro pareti assemblate, ma una “piscina” scavata nel blocco.
Fin qua nulla di difficile: il complicato è stato fare le scanalature laterali nella quali far scorrere il coperchio.
Si trattava infatti di ricavare dei sottosquadri, di asportare materiale da una posizione più esterna rispetto al profilo superiore, il che significava non poter far scendere la fresa senza rovinare la parte superiore.
Provai di tutto, cose al limite del pericolo: alla fine riuscii nell’intento con una fresa a coda di rondine fatta partire dall’esterno, dal lato dove il coperchio veniva fatto scorrere per l’apertura, che entrava nel legno alla giusta altezza, percorrendo un perimetro interno lungo i tre lati. La fresa doveva scendere e salire al termine solo fuori sagoma della scatola.
Per ultimo il coperchio: un pezzo di compensato in mogano sul quale ho inciso, per prima cosa, il nome del gioco Antico gioco dell’Asino Rosso.


L’incisione risalta il contrasto tra la parte interna del legno, che è bianca, e quella esterna rossa e rende l’effetto molto elegante.
Ho tagliato, poi, la scanalatura per la presa del dito che dovrà spingerlo per l’apertura e quindi il perimetro. Non ricordo come ho dato l’inclinazione sui laterali, forse a mano carteggiando o forse, più probabilmente, tagliando con quella fresa a coda di rondine e il pezzo capovolto.
Per uno di quelli, diretto ad una casa in Roma, avevo preparato una confezione in cartone: una scatola aperta, in cui inserivo il gioco di legno, le cui pareti avevano della asole attraverso le quali passava un nastrino rosso che ne bloccava il gioco all’interno.


Ho un aneddoto relativo a quel lavoro. Portai con me quel giochino in Roland, dove andai per una due giorni, per seguire un corso di fresatura sulla EGX 350, la stessa macchina che avevo utilizzato per le pedine del gioco: mi interessava dipanare alcuni dubbi che ancora avevo e capire se ci fosse altro da sapere che non avevo considerato.
Prima di ritornare a casa, feci vedere quel giochino a Giovanni Re, che era il responsabile della Roland per quel corso.
Lì per lì non notai chissà quale reazione: carino, bravo, ciao, ciao.
Sennonché, qualche giorno dopo, ricevetti da Giovanni Re una mail, in cui mi invitava al Roland Hub, un tentativo di mettere assieme il fior fiore degli artigiani da lui conosciuti, con architetti e designer, per far nascere da una sorta di brodo primordiale una start-up in grado di proporre qualcosa di innovativo.
Stupito, che si rivolgesse proprio a me, che non ero artigiano, mi premurai di chiarire immediatamente che ero solo un maker, che facevo tutt’altro lavoro e che forse mi confondeva con qualcun altro. Per tutta risposta ebbi No di certo, io non scordo un lavoro ben fatto, ricordo perfettamente quel tuo giochino …
E così partecipai a quell’hub, feci parte della squadra che realizzò il Quavolo, un quadro che si trasforma in tavolo, ma che resta ancora quadro, che arrivò al termine del percorso, per fermarsi solo poco prima del lancio sul mercato: il Quavolo fu un altro lavoro in legno, un miracolo realizzato senza chissà quale attrezzatura… ma questa è un’altra storia.

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